Di recente ho letto un articolo sul British Medical Journal in cui veniva riportato un studio effettuato nel 2013 ad Abu Dabi.
Sembra che nella capitale degli Emirati Arabi i neonati possano essere dimessi senza ancora avere un nome proprio. Nella cartella viene semplicemente segnato “Baby off” seguito dal cognome dei genitori.
L’articolo fa parte dei “case study” ovvero degli studi in corso d’opera che il BMJ segue in un arco di tempo prestabilito e aggiorna per valutare se gli interventi messi in atto portano i risultati sperati.
Il presupposto di questo studio è il seguente: dimettere i neonati senza il nome proprio è un rischio per la loro salute, in quanto i numerosi casi di omonimia portano ad aumentare le probabilità di sbagliare le procedure mediche, ovvero confondere i neonati e le loro eventuali necessità terapeutiche.
Nel 2013 iniziano questo studio e notano che il 79% dei “baby off” registrati è ancora senza nome proprio e alcuni di questi bambini hanno ormai 7 anni.
Viene quindi attivata una campagna di sensibilizzazione verso il personale medico per convincere i genitori ad iniziare a pensare al nome del bambino già nel periodo della gravidanza.
Inoltre viene avviato un processo di ri-registrazione ufficiale del bambino attraverso richiesta di documentazione dell’effettivo nome assegnato.
Il numero dei “baby off” ad oggi è drasticamente sceso, resta ancora un 10% di nominativi in banca dati non aggiornati.
Per deformazione professionale questo articolo mi ha lasciata un po’ di stucco. Possibile che oltre all’effettivo rischio di omonimia a nessuno dei ricercatori sia venuto in mente di sondare anche gli aspetti psicologici, sociali e culturali dietro all’usanza diffusa di non scegliere un nome che identifichi il nuovo nato?
Da qui, un fiume di pensieri che molto distanti dall’obiettivo di fare confronto\scontro culturale.
Quanta importanza ha per noi, per la nostra cultura e società, il nome di un bambino che ancora deve nascere? Direi moltissima.
E’ una delle domande tormentone che si sentono rivolgere tutte le donne alle quali inizia a sporgere il pancione e la gravidanza è ormai un fatto pubblico, sociale, che non si può nascondere.
Arriva la domanda diretta: “come lo chiamerete?”
Alcune scaltre e desiderose di proteggersi rispondono: “non lo abbiamo ancora deciso”
Altre ostentano sicurezza “Lo chiameremo [nome]”
ecco che parte una discussione non richiesta ma scontata sul nome scelto. Vengono espressi pareri, suggerimenti, ricordi personali legati a quel nome, talvolta tentativi di fare cambiare idea.
Ecco che davanti ad una creatura in arrivo la società si attiva, sta per arrivare un nuovo membro tra noi e lo vogliamo conoscere.
Il nome di battesimo è prima di tutto un elemento identitario: sono io e mi chiamo così.
Il cognome lo trasforma in un fatto sociale oltre che identitario: sono io…figlio di mio padre, appartengo a questa famiglia e arrivo da quel luogo. Talvolta si porta il cognome della madre allora già si racconta un’altra storia familiare. I cognomi raccontano il luogo e le origini della propria famiglia, alcune volte un fatto reale, per citare un esempio su tutti, il cognome Esposito: era il bambino che, abbandonato nei conventi, veniva esposto alla vista di chi era alla ricerca di un figlio.
Il nome racconta una storia passata, sempre, e allo stesso è tempo un gesto verso il futuro. E’ la speranza che i genitori mettono nel futuro dei figli partendo dalla loro esperienza di vita.
Immaginiamo nomi che vengono tratti da film e telefilm, che sanno di esotico, di bello-facile-possibile. Che sembrano voler creare forte distacco dalle proprie tradizioni. Quale augurio si portano appresso?
Nomi di figli di persone trasferiti all’estero, talvolta viene scelto un nome semplice da pronunciare e che permetta l’integrazione del figlio nel nuovo paese, altre volte la scelta ricade su nomi della tradizione.
Quale pensiero e quale augurio cela per la vita?
Nomi e cognomi di figli adottivi, un cambio totale di identità. Gli verrà permesso, quando ne sentirà il desiderio, di andare a ricercare la storia che lo ha preceduto?
Ci sono nomi che richiamano stirpi, qui a Torino non posso che pensare ai numerosissimi Alberto, Emanuele, Umberto, Adelaide, Vittorio\a….
Nomi di Santi e di Papi talvolta a seguito di un voto.
Alcuni nomi richiamano i propri avi, i nonni o i bisnonni. Talvolta i genitori scelgono di passare il nome di un predecessore che è ricordato per le sue gesta, reali o fantasticate, nel romanzo di famiglia.
Alcune volte i genitori non si sentono liberi di sganciarsi dalle tradizioni familiari e le tramandano assegnando al figlio il nome dei propri genitori o nonni, come se fosse una questione d’onore e lealtà da cui non ci si può tirare indietro. Una catena troppo forte per essere spezzata.
Alcune viene assegnato il nome di un familiare morto prematuramente come per ridargli un posto tra i vivi, così che possa terminare ciò che è rimasto in sospeso nella sua vita. Alcune volte è il nome del nonno oppure di un fratello di uno zio. Portare il nome di una persona che ha lasciato in sospeso delle “cose” è faticoso ai fini del compimento della propria esistenza. Ma questo è tutto un altro argomento.
Allora mi domando se ognuno di noi intuisca dal proprio nome quale desiderio, aspettativa, sogno, progetto c’era nella mente dei genitori, in quale situazione erano quando siamo stati concepiti e come tutto questo oggi agisca sulla realizzazione del nostro Progetto di vita.